Ai novelli repubblicani
Questo ch'io serbo in sen sacro pugnale,
Io l'alzo, e grido a l'universo intero:
" Fia del mio sangue un dì tepido e nero
" Ove allontani le santissim'ale
" Dal patrio cielo Libertà feroce ".
Già valica mia voce
D'Adria le timid'onde,
E la odono echeggiando
Le marsigliesi sponde.
Voi, che ignari di voi, già un tempo feste
Di mille regi sanguinarj al soglio,
Cui cingeva Terror, Morte ed Orgoglio,
Sgabello ecceIso de l'oppresse teste;
E de gli ottimi al sangue inutil pianto
(Di tirannide vanto!)
Mesceste a' piè de li empj;
Sorgete: il giorno è giunto
Di vendetta e di scempj.
A l'Armi! Enteo furor su voi discende
Che i spirti sgombra, e l'alme erge ed avvampa
E accesa in ciel di ragion la lampa,
Vi toglie a gli occhi le ingannevol bende.
Che ragion, figlia di dio, v'invita
A vera morte, e addita
I rei petti esecrandi
Ove, piantate, grida,
Infin a l'elsa i brandi.
Tremate? e invece d'inimico sangue
Lacrime infami il ferro imbelle gronda?
A che di civil quercia augusta fronda
Chieder, se ardor civile in sen vi langue?
- Baciar vi veggio, e tergere col crine,
O Spartane eroine,
Le piaghe de' feriti
Figli, e vantar la morte
De' padri e de' mariti!
Ma Genio intanto a noi scende di pace,
E con la destra un ramuscel di ulivo
Alza, e dolce cantando inno giulivo,
Scote con l'altra man candida face;
E de le morte età la tacit'ombra
Col puro lume ei sgombra,
E sul sublicio ponte
Mostra il secondo Gracco
Pallido e cupo in fronte:
Tu fuggi, o Caio? e ov'è la tua possanza
E il tuo repubblicano almo furore?
E del divino tuo tenace core
La mai non atterrita ov'è fidanza?
Nudasti il brando; e su le sarde porte
Presentasti la morte:
Tuonasti il vero; e doma
Al tuo parlar tremonne
La senatoria Roma.
Quando a l'orror di notte taciturna
Del tuo spento fratel lo immane spetro
Coi crin su gli occhi, e sanguinoso e tetro
Surse del Tebro da l'incognit'urna,
Al lampeggiar di livido baleno
Voce da l'imo seno
Trasse e gridò: Che stai?
T'alza; tuo fato è scritto:
Di mia morte morrai.
E dal fatal suo genio a man guidato
Le agrarie leggi e le virtudi antiche
Chiamasti al popol vulgo omai nemiche,
E più nemiche del tiran senato:
Ma Roma freme; e fra tremendi carmi
Suonan tremende l'armi:
Or dove cerchi scampo?
Perchè l'acciar non vibri
Che ti fè primo in campo?
Ma voce fra 'l lontan spazio degli anni
Mi dice: Infame è chi nel patrio petto
Immerge il ferro per la patria stretto
Onde balzar dal soglio empj tiranni:
O padre, o padre! nell'elisie sponde
Cinto di triste fronde
Scendo, ma non mi vedi
Di civil sangue lordo
Nè fra regali arredi.
Pur non vi lece le mal-ferme spade,
O di novella libertà campioni,
Ripor, chè caldo dai calcati troni
A stilla a stilla ancora il sangue cade;
- Sia pace: - Armati di terror la faccia,
Pronte a ferir le braccia
Aggiate intanto, o prodi:
Cadran sepolte e nulle
Le tirannesche frodi.
Vile è il torpor ch'a intiepidir vostr'alme
Al molle avvezze infame empio servaggio,
Piove, e cieche le rende al divin raggio
Di Libertà ch'auro diffonde e palme:
Folle è la Fama, e mille ha orecchie e lingue
Nè il falso e il ver distingue:
Quindi ministra omai
D'oligarchica rabbia
Sogna menzogne e guai.
E guai sien pur: nè sol a Grecia e a Francia,
Nè sol a' Fabj ed ai roman cavalli,
Vincer fu dato i Sersi e gli Anniballi,
Alto-squassando la funerea lancia.
E noi liberi siam. - Ben l'universo
Sia contro noi converso.
Forse sol degno è Cato
Di morir con acciaro
A libertà sacrato?
L’ode "Ai novelli Repubblicani" fu pubblicata nel giugno del 1797, poco dopo il ritorno di Foscolo a Venezia, è preceduta da una dedica al fratello Gian Dionisio in procinto di arruolarsi nell’esercito di Napoleone Bonaparte; la dedica è caratterizzata, come tutta l’ode, da toni apocalittici e profetici e ha una conclusione solenne che preannuncia la prosa delle Ultime Lettere di Jacopo Ortis. Nell’ode Foscolo invita i patrioti a seguire l’esempio dei grandi eroi dell’antichità e evidenzia la continuità storica tra passato e presente che conduce a riconoscere come inevitabile la lotta contro i tiranni.