ALLA SERA
Forse perché della fatal quïete
tu sei l’immago a me sì cara vieni o Sera! E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni, e quando dal nevoso aere inquïete tenebre e lunghe all’universo meni sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme che vanno al nulla eterno; e intanto fugge questo reo tempo, e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge; e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge. |
La sera per il poeta veneziano è il momento più bello della giornata: il momento in cui riposarsi dopo gli affanni quotidiani, il momento in cui si placano i rumori dell’esistenza ed il cuore è invaso da pace e serenità. Ma la meditazione sulla sera sfocia spontaneamente nella meditazione sulla morte; anche la morte, come la sera è infatti una promessa di pace, una pace dolce e definitiva: il momento in cui finalmente si terminano le fatiche di un’esistenza tribolata ed angosciosa.
Questo sonetto appare nettamente diviso in due parti: le due quartine sono statiche, poichè intendono descrivere lo stato d’animo del poeta dinnanzi alla sera, che è il medesimo, sia che si tratti di una serena sera d’estate, sia che si tratti delle tenebre di una scura sera invernale: in tutti e due i casi la sera porta con sé la tranquillità e la cessazione degli affanni. Nelle due terzine, invece, si chiarisce perché la sera è cara al poeta: essa è immagine della morte, di quel “nulla eterno”, che è liberatorio poiché rappresenta l’annullamento totale, in grado di cancellare i conflitti e le sofferenze della vita. A parere di Ugo Foscolo l’universo, di cui anche l’uomo è parte, è un ciclo perenne di nascita, morte e trasformazione della materia, che è l’unica realtà esistente. Si ripropone quindi la medesima tematica delle Ultime lettere di Jacopo Ortis: lo scontro dell’eroe con il “reo tempo” in cui vive, la cui soluzione può essere soltanto la morte, che porta la tanto desiderata pace.