CHE STAI?
Che stai? già il secol l’orma ultima lascia;
dove del tempo son le leggi rotte
precipita, portando entro la notte
quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.
Che se vita è l’error, l’ira, e l’ambascia,
troppo hai del viver tuo l’ore prodotte;
or meglio vivi, e con fatiche dotte
a chi diratti antico esempi lascia.
Figlio infelice, e disperato amante,
e senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
giovine d’anni e rugoso in sembiante,
che stai? breve è la vita, e lunga è l’arte;
a chi altamente oprar non è concesso
fama tentino almen libere carte.
In questo sonetto l'autore si rivolge a se stesso, quasi per dare l'idea di un dialogo interiore: si incita a non indugiare perché il XVIII secolo sta per finire e si poterà nell'oblio gli anni già trascorsi della sua vita; poi continua spiegando che deve muoversi a lasciare ai posteri dei ricordi sotto forma di opere perché altrimenti la vita è solo una tortura senza significato. Nella terza strofa il poeta si descrivi nei suoi aspetti più sensibili definendosi infelice perché orfano, amante senza speranza per le grandi passioni non corrisposte, senza patria perché esiliato, aspro e visibilmente vecchio nonostante la giovinezza. Infine riprende la prima strofa e invita se stesso a non indugiare perché l'arte, a differenza della vita, vive lungo i secoli e anche perché, se non può compiere gesti eroici, gli resta almeno una possibilità di avere successo mediante i suoi versi.