IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quïete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
Questo famosissimo sonetto tratta temi molto cari al poeta: innanzitutto, quello dell’esilio, unito a quello del tormento interiore per la scomparsa tragica dell’amato fratello Giovanni, suicidatosi a vent’anni per debiti di gioco, davanti alla madre, qui rappresentata come anziana e sola. Si tratta di tematiche tipicamente romantiche. Il tema dell’esilio va inteso non solo come condizione reale del poeta, ma come una condizione più generale di sradicamento e precarietà. In opposizione a questo, troviamo il motivo della tomba, che si ricollega all’immagine del nucleo familiare e soprattutto della madre. Il ricongiungimento con la madre e la terra natale è l’unico punto fermo nella condizione di esule, ma è impossibile, pertanto l’unica alternativa praticabile resta la morte che consente quel ricongiungimento con gli affetti familiari che in vita sembrava negato per sempre. La morte, dunque, se è fonte di lacrime per i propri cari, permette un legame con la vita: la restituzione delle ossa consente l’illusione della sopravvivenza, del ritorno tra le braccia della madre, quindi troviamo qui anticipato quel forte legame, punto cardine Dei sepolcri, tra tomba, terra natale e figura materna. È, infatti, proprio la madre che, pur colpita da tante sciagure, tenta pietosamente di ricomporre l’unità della famiglia accanto a un simbolo di morte, il sepolcro.