NON SON CHI FUI, PERI' DI NOI GRAN PARTE
Non son chi fui; perì di noi gran parte:
questo che avvanza è sol languore e pianto.
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
del lauro, speme al giovenil mio canto.
Perché dal dì ch’empia licenza e Marte
vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca è la mente e guasto il core, ed arte
la fame d’oro, arte è in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
a mia fiera ragion chiudon le porte
furor di gloria, e carit à di figlio.
Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte,
conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
e so invocare e non darmi la morte.
Questo componimento ha toni letterari ricercati e esprime un momento di aridità spirituale conseguente all’esperienza di guerra e dei disordini rivoluzionari. Il sovvertimento d’ogni valore che essi portano con sé ha gettato il cuore del poeta in una prostrazione. Il crollo degli ideali gli ha suscitato nell’animo il senso della vanità d’ogni cosa; ha spento in lui l’amore e la poesia che sono le luci che illuminano la sua vita. La morte appare l’unica soluzione di questa esistenza distrutta. In questo sonetto sono evidenti numerosi motivi petrarcheschi e alfieriani soprattutto nella prima quartina.