A ZACINTO
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell’onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l’inclito verso di colui che l’acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. |
Il tema del sonetto verte sulla precarietà della condizione di esule e sul sentimento nostalgico nei confronti della sua patria, una piccola isola del mar Ionio, molto amata dal poeta. La triplice negazione iniziale esprime per l'appunto la convinzione del poeta di non poter farvi più ritorno. Ripensando alla fanciullezza il poeta ricorda le bellezze del clima e della vegetazione dell'isola, creata dalla dea Venere, nata dalle acque del mare, che lei rese fertile con il suo primo sorriso; e il sublime poema di Omero non poté tacerne il limpido cielo e la rigogliosa vegetazione, narrando le sue acque fatali e il diverso destino di Ulisse il quale, esule anch'egli, riuscì a ritornare ad Itaca. Tu, o materna mia terra, conclude il Foscolo, non avrai che questa poesia da tuo figlio, perché il Fato ha prescritto a me una tomba senza pianto. Foscolo sviluppa il motivo della disperazione e dell'esule che lancia il suo grido di dolore contro il fato avverso, in un crescendo di confronti tra sé e Omero e tra sé e Ulisse. Ma come la poesia di Omero ha reso immortale Ulisse e Itaca, così la poesia di Foscolo ha una possibilità di perpetuare la fama di Zacinto e il ricordo del poeta che la canta.