ALLA MUSA
Pur tu copia versavi alma di canto
su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
quando de’ miei fiorenti anni fuggiva
la stagion prima, e dietro erale intanto
questa, che meco per la via del pianto
scende di Lete ver la muta riva:
non udito or t’invoco; ohimè! soltanto
una favilla del tuo spirto è viva.
E tu fuggisti in compagnia dell’ore,
o Dea! tu pur mi lasci alle pensose
membranze, e del futuro al timor cieco.
Però mi accorgo, e mel ridice amore,
che mal ponno sfogar rade, operose
rime il dolor che deve albergar meco.
Il poeta veneziano, che nella sua vita è sempre stato confortato dalla Poesia, che gli ha dato anche, forza di vivere e speranza di gloria; ora avverte che la Musa lo abbandona, perché sente che le poche rime faticosamente scritte non gli permettono di dimenticare il pianto del suo cuore, deluso per l’amore contrastato e per la patria vilipesa. In questo sonetto si sente ancora lo spirito di delusione già espressa nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis che sembra rendere arida la vena del canto. A differenza del romanzo, Ugo Foscolo in questo sonetto non si esprime con irruenza ma in forma pacata e, dopo il primo sfogo autobiografico, riesce a sollevarsi ad una visione più ampia del destino umano.